La perfezione è un’utopia che in molti
cercano di delineare lungo la vita attraverso l’idealizzazione di un
raggiungimento conoscitivo, sociale, culturale e/o artistico. I Kampfar
giungono al traguardo del settimo album con un’invidiabile successo:
una discografia inattaccabile che rasenta quell’utopica perfezione
accennata poco fà. Se la dipartita nel 2010 di Thomas aveva fatto
perdere un pizzico di interesse da parte dei fans, quelli affezionati
più alla persona che al progetto in quanto tale, l’approccio compositivo
del gruppo non è mutato di una sola virgola e l’anno successivo Mare aveva
fatto esplodere applausi a scena aperta, confermando quanto di buono ci
sia nel gruppo piuttosto che nel singolo. A discapito di una costante
avanguardia sonora (concedetemi il termine volutamente forzato) pur non
avendo mai stravolto il circuito underground, non avendo nemmeno mai
creato l’album perfetto al cristallino i Kampfar da sempre
risultano inattaccabili sotto ogni aspetto; mai un album uscito “male”,
mai un calo di creatività e sopra ogni cosa mai deluso le aspettative
dei propri fans, che ad ogni capitolo, rimangono a bocca aperta per la
qualità riscontrabile su ogni singola composizione.
Certamente ripresentarsi sul mercato ad un anno o poco più di distanza dal precedente Djevelmakt
è azzardato; tutti noi sappiamo che per avere un minimo di credibilità e
di ispirazione un ciclo vitale che porta al compimento di un nuovo
traguardo necessita di tempo ed attenzione, che equivale a due o tre
anni vitali se in mezzo ci mettiamo il/i tour promozionale/i che sono
necessari al mantenimento in vita di un gruppo. Profan nasce dalle ceneri di Djevelmakt implementando e migliorando la proposta, ponendosi probabilmente al di sopra ti ogni album composto da qui a Kvass. Esageriamo? Ascoltare per credere.
Sappiamo perfettamente che il sound dei Kampfar
oggi è meno violento e oltranzista rispetto al primo periodo, sappiamo
ancora meglio come le tecnologie moderne e le influenze che vanno ad
inserirsi in questo o quel contesto culturale-musicale modellano i
risultati finali in maniera più o meno preponderante. Proprio per questo
i Norvegesi sono identificabili a livello metaforico come una spugna,
dove più assorbono esperienza, sfumature e visioni differenti; più
queste vengono afferrate e fatte proprie senza andare contro la coerenza
che sta alla base del progetto più si può optare per il concetto di
"progressione sonora". Studiare, analizzare, comprendere e
successivamente migliorarsi; questo è il processo che costruisce le
fondamenta della band; questo concetto semplice è “piccolo” ma
abbastanza perché se applicato a questo caso specifico faccia
comprendere quanto i nostri meritino rispetto incondizionato.
Profan ci viene introdotto da Gloria Ablaze,
una canzone centrata in ogni minimo dettaglio con quella partenza in
quinta con un riff maligno ed inattaccabile che lascia spazio man mano
ad una atmosfera glaciale e nordica come solo i Kampfar riescono a
creare, attraverso cori ed aperture di altissima qualità con il
trade-mark stampato sopra a fuoco. Come riscontrabile in molti passaggi
lungo la tracklist sono le clean vocals a donare l’effetto sorpresa, pur
non essendo una novità, risultando avvincenti e azzeccate al 100%;
senza questo specifico tocco di “epicità norrena” avremmo ipoteticamente
avuto solamente brani zoppicanti, ma qui sbagliare è impossibile. La
scaletta si snoda attraverso canzoni che hanno una loro precisa
identità, ognuna di queste ha valore e senso di esistere, anche nei casi
paradossali come la Titletrack e Pole in the Ground che possono
essere definite “standard” per il gruppo, si riesce inevitabilmente a
lasciare un segno indelebile confermando il certificato D.O.P..
Lo sguardo rivolto a nuove sperimentazione viene piuttosto sottolineato dalle magistrali Icons, Skavank e Daimon, un trittico al limite del comprensibile che innalza Profan
da buono ad altisonante. La prima viene aperta da un leggero andante
orchestrale prima di sfociare in una rabbia assassina pura e ferale,
dove la parte centrale lascia intravedere sprazzi dei primi Gorgoroth e dei Taake che furono, combinati con Enslaved e Windir di un tempo oramai dimenticato poggia le basi nel remoto per innalzarle a futuro prossimo. Skavank
dalla sua, attraverso i lunghi sette minuti e mezzo, ha la capacità di
lasciarsi scoprire ascolto dopo ascolto, una rasoita nello stomaco che
diventa il sussurro contemporaneo dei Mayhem che oggi tutti rimpiangiamo: inutile girarci intorno da 3:40 circa l’eco di De Mysteriis Dom Sathanas è palese, non prendiamoci in giro ragazzi.
Fortuna e sfortuna dei nostri è il venire dopo, ma omaggiare contemporaneizzando con questa classe è da applausi. Daimon, il singolo che ha lanciato i Kampfar sul
loro primo video promozionale, è qualcosa di sublime, talmente
evocativo lento e sinistro che spesso e volentieri viene da girarsi con
la paura che qualcuno alle tue spalle sia li a osservarti nell’ombra. Il
clean vocal magistralmente eseguito e la combustione degli intenti con
le sovrastrutture create ha dello straordinario, da ascoltare in
rigoroso silenzio senza perderci altre parole in merito. La parabola si
chiude con Tornekratt che da descrivere risulterebbe più
difficile che altro; cinque minuti di disperazione, urla e l’evocazione
di un male interiore come in pochi riescono a tramutare in musica. Pare
un ritorno al passato con gli stratagemmi di oggi amplificati e tolti
dalle catene di un’incapacità compositiva primordiale; il brano perfetto
per chiudere un album al limite dell’impeccabile.
Sovrastato da una cover magnifica creata dal genio di Zdzisław Beksiński Profan racchiude in sé tutto quello che oggi sono e devono essere Kampfar
per continuare a troneggiare sul suolo dell’underground. Anche la
produzione, seppur ipercompressa, riesce ad innalzarsi facendoci
ascoltare ogni singolo strumento e mantenendo intatto quell’odore di
putrido disgusto creato da sempre nel dischi dei Norvegesi; il tempo che
scorre non deturpa la pietra miliare delle gesta dei morti viventi.
Probabilmente fra dieci o quindici anni parleremo di altri dischi, loro e
non, che han segnato un periodo storico come quello che stiamo vivendo
ma oggi, in questo momento, mentre state leggendo, Profan è la colonna sonora perfetta per oltrepassare i confini della perdizione.
Genere: Pagan Black Metal
Paese: Norvegia
Qualità: 320 kbps
TRACKLIST
01. Gloria Ablaze
02. Profanum
03. Icons
04. Skavank
05. Daimon
06. Pole in the Ground
07. Tornekratt
02. Profanum
03. Icons
04. Skavank
05. Daimon
06. Pole in the Ground
07. Tornekratt
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